Ario, nato in Libia nel 256 e morto a Costantinopoli nel 336, è un teologo e presbitero cristiano padre di una dottrina condannata come eresia nel primo Concilio di Nicea del 325 col nome di Arianesimo.
Nell’interpretazione ariana delle sacre scritture l’unità di Dio è incompatibile con la pluralità delle persone divine sancita dalla Chiesa. Per Ario il Cristo, pur nell’eccezionalità della sua figura, è subordinato alla figura di Dio (così come lo è lo Spirito Santo), per cui solo il Padre può essere considerato davvero divino, poiché non generato e eterno.
La condanna al Concilio non fermò il diffondersi dell’arianesimo, sebbene il Concilio di Costantinopoli lo dichiari debellato nel 381. Prova ne è la soluzione imposta alla disputa trinitaria nei due Concili di Rimini (359) e Costantinopoli (360), nei quali venne affermata la non consustanzialità tra Dio Padre e Cristo suo figlio.
Intanto il vescovo Ufila aveva introdotto l’arianesimo tra i goti, ancora pagani, e la dottrina si era diffusa anche tra i Vandali, gli Svevi e i Burgundi. L’arianesimo penetrò così nell’Impero seguendo le conquiste dei popoli germanici.
Se i Vandali ebbero forti attriti in Africa con la popolazione locale, i goti, in Italia e in Spagna, instaurarono un clima di convivenza pacifica con i cattolici, dando vita a comunità ariane separate e costruendo i propri edifici di culto.