“I mosaici delle pareti, ancora in gran parte superstiti, ci permettono di seguire l’evoluzione di questa arte dall’età teodericiana a quella giustinianea dai punti di vista iconografico, stilistico e ideologico.
Le 26 scene cristologiche rappresentano il più grande ciclo monumentale del Nuovo Testamento, unico per le scelte tematiche e la successione degli episodi che rispecchiano con evidenza le concezioni religiose dei goti. Va notato che, soprattutto nel ciclo dei miracoli, le scene non seguono un preciso ordine cronologico e sono stati tralasciati importanti episodi della vita di Gesù; mentre ne compaiono altri che costituiscono un unicum nell’arte paleocristiana, quali la “parabola del Fariseo e del Pubblicano”, la “guarigione del paralitico di Cafarnao”, o che comunque sono molto rari, come la “guarigione dei due ciechi di Gerico”, oppure “l’obolo della povera vedova”. Nel ciclo della Passione mancano invece le scene della flagellazione e della Crocifissione, considerate infamanti dalla religione ariana. Allo stesso tempo i mosaici teodericiani sono espressione di una cultura certamente influenzata dall’ambiente costantinopolitano, com’è possibile dedurre dalla presenza di numerose iconografie di derivazione imperiale. Nei pannelli con le scene cristologiche il Maestro non ha l’abbigliamento consueto della iconografia cristiana; veste bensì abiti di porpora, così come abiti regali vestono la Vergine e il Cristo assisi sul trono nella fascia inferiore. Per quanto riguarda la Madonna in trono con il Bambino, si tratta della più antica immagine monumentale della Vergine, giunta fino a noi, costituendo in tal modo il prototipo delle innumerevoli raffigurazioni della Vergine in Maestà, tipiche dell’arte bizantina e medievale.
Assolutamente originale e unica nell’arte paleocristiana è la rappresentazione musiva della città di Ravenna, con il sacro Palatium e della città di Classe con il porto, all’interno di un edificio religioso. I due riquadri, grazie a questa collocazione, proiettano le due città in una dimensione sacra e ultraterrena.
La scelta così inusuale sia a quei tempi che successivamente, si può spiegare forse con l’intenzione di glorificare Teodorico sottolineando il rango della nuova capitale, erede della gloriosa Roma, su cui il re goto felicemente dominava.
La censura operata dal vescovo cattolico Agnello, mirante a eliminare ogni riferimento al dominio ostrogoto e alla religione ariana, si preoccupò al contempo di ribadire chiaramente i concetti della ortodossia cattolica.
A capo della teoria dei santi fu posto, infatti, San Martino, fiero oppositore degli Ariani, mentre la processione delle vergini è guidata da Santa Eufemia, strenua sostenitrice delle deliberazioni del Concilio di Calcedonia (451), che avevano ribadito la duplice natura, umana e divina del Cristo, unite senza confusione nella sua persona. Agnello completò il nuovo programma decorativo col dogma trinitario in funzione antiariana, espresso dai tre re magi in adorazione del Cristo-Dio.”.
[Fonte: Fondazione Ravenna Capitale, Sant’Apollinare Nuovo, http://www.fondazioneravennacapitale.it/basilica-di-santapollinare-nuovo/]