Santa Maria in Porto

Il monastero di Santa Maria in Porto


“Già da quattro secoli l’ordine dei Canonici Lateranensi, un ramo degli Agostiniani fondato da Pier degli Onesti (il ‘Piero Peccatore’ della Commedia dantesca) aveva il proprio monastero a qualche chilometro dalla città presso la foce del fiume Badareno (oggi è la località Porto Fuori). Sul finire del Quattrocento, i monaci vennero nella decisione di ampliare e rinnovare la propria sede. Non poterono però ottenere il permesso del governo veneziano che temeva che la nuova costruzione divenisse ricettacolo di nemici della Serenissima, o punto di appoggio per incursioni di pirati turcheschi. Si decise allora di costruire la nuova sede in una zona inedificata all’interno della città murata: dove i lavori presero avvio l’anno 1494 e già nel 1503 resero possibile il trasferimento dei monaci. I lavori furono poi terminati attorno al 1520, risultando nel più significativo monumento del periodo veneziano a Ravenna, nonostante i molti successivi rifacimenti e adattamenti a usi diversi. Nel corso dell’Ottocento, dopo le soppressioni degli ordini religiosi, il luogo passò in proprietà del demanio militare che nella parte prospicente alla via di Roma costruì una caserma, dopo aver demolito il chiostro trilatero attiguo a quello tuttora esistente: chiostro che fu poi rimontato in parte nel porticato al retro di Casa Oriani nel 1930. Nella caserma ebbe stanza fino all’ultima guerra il 28° reggimento di fanteria della divisione Pavia, caro ai ricordi di molti romagnoli che nelle sue file militarono e combatterono negli anni 1940-43, e che è ricordato sul luogo in un cippo recante anche l’immagine della caserma. In seguito ai gravi danni subiti nel 1944, l’edificio fu utilizzato per diversi anni come alloggio precario per diverse famiglie rimaste senza casa, poi è stato demolito e , attorno al 1970 lo spazio è stato risistemato a verde, mettendo allo scoperto l’ex monastero, mutilo di un chiostro.”

 

[Fonte: P. Fabbri, Conoscere Ravenna, Ravenna, Edizioni del Girasole, 2006. pp. 107-108.]