Zona Dantesca

L’attività letteraria di Dante a Ravenna


“Agli anni di Ravenna, accanto al compimento del Paradiso, si riconducono le due Egloghe. La Quaestio potrebbe essere anch'essa lavoro ravennate, nell'inoltrato 1319, tenuto da parte per una cerimonia ufficiale a Verona non predisposta all'ultimo momento, con l'occasione del passaggio al castello di Cangrande, ma da tempo offerta a questi quale omaggio dell'antico ospite. 

Nella cronologia della corrispondenza poetica con Giovanni del Virgilio, dagli inizi del ’19 e prolungabile sino alla fine del ’20, i due componimenti bucolici di Dante possono essere stati redatti con un intervallo di circa un anno: per motivi che emergono da riferimenti storici interni al testo di Giovanni e anche dalla testimonianza esterna del Boccaccio, il quale riferisce che Dante tardò un anno a rispondere, così che il testo di Egloga IV pervenne al destinatario dopo la morte del poeta. Tale cronotassi non contrasta affatto coi tempi di composizione del Paradiso, anzi suggerisce la possibilità che il ritardo possa essere stato dettato da una ragione superiore, e nessuna può essere suggerita fuori di quella della conclusione della terza cantica, più che probabile nel pieno 1320; di modo che soltanto all'epoca di risistemazione e revisione del Paradiso (gli ultimi nove-dieci mesi di vita) Dante avrebbe potuto aver agio di riprendere con la seconda responsiva l'originalissima riscoperta del genere bucolico. La diffrazione di attività e d'impegno letterari che avevamo celebrato nella giovinezza dell'autore delle rime realistiche e della Vita Nuova, il prorompente bisogno di tenere occupato l'intelletto con prove differenti, restano caratteristiche del genio di Dante anche nell'età dell'incipiente senectute: l'asciutto verbo della Quaestio e i callidissimi esametri delle Egloghe accanto al disegno sublime dell'Empireo; cioè da un lato l'inserimento d'interiori meditazioni e di sofferte memorie politiche nel tessuto della tradizione classica, dall'altro il consueto vigore dell'argomentare dantesco affidato alle capacità d'interna vibrazione dell'animus sdegnoso dello scrittore, infastidito dalle voci dei mediocri e degl'invidiosi che si levano verso di lui.”

 

 

[Fonte: Giorgio Petrocchi, Vita di Dante, Laterza, 1983 e Enciclopedia Dantesca, Appendice, Treccani, 1978.]