Ravenna è l’ultima tappa del lungo esilio di Dante Alighieri, città che più di ogni altra è assurta a rifugio tranquillo del poeta, ospitato da Guido Novello dal 1318 al 1321.
Dal punto di vista politico la città faceva parte dello Stato Pontificio sin dal 1276, anno in cui Rodolfo d’Asburgo l’aveva restituita al papato. In realtà, era amministrata già dal 1275 dai Da Polenta, di famiglia guelfa che, approfittando della debolezza dello Stato Pontificio, si erano impadroniti della città.
Dante apprezzò l’ambiente ravennate, così diverso, per la sua tranquillità, da quello dinamico ed eterogeneo di Verona, e per questo accettò l’invito del signorie di trattenersi a Ravenna. Con lui c'era di sicuro la figlia Antonia, divenuta monaca, col nome di suor Beatrice, nel monastero ravennate di S. Stefano degli Ulivi, dove morì dopo il 1350. Il figlio Pietro lo raggiungerà a Ravenna poco dopo.
La città di Ravenna entra nella Divina Commedia nel quinto canto dell’Inferno, quando Francesca da Rimini, zia di Guido Novello, definisce la propria città d’origine: “Siede la terra dove nata fui/ su la marina dove ‘l Po discende/ per aver pace co’ seguaci sui” (97-99).
Ravenna è anche nel Purgatorio, con la sua “pineta in su 'lito di Chiassi" (XXVIII, 20), la pineta di Classe, e nel Paradiso, dove cita i due santi ravennati Romualdo, fondatore dell’ordine dei camaldolesi e Pier Damiani, monaco camaldolese.
Nel 1321 era avvenuta la rottura dei rapporti, sempre tesi soprattutto a causa delle saline e della navigazione costiera, tra Venezia e Ravenna. Il pretesto era stato la cattura di navi veneziane, probabilmente per rappresaglia, da parte dei Ravennati, azione che aveva portato alla minaccia di una guerra. Guido Novello decide di mandare un'ambasceria a Venezia per tentare un accordo e chiede a Dante di farne parte. Partito ad agosto, dovette interrompere la missione tornando a Ravenna, dove morì poco dopo, pare nella notte tra il 13 e il 14 settembre di quell’anno.