Duomo

Il Museo Arcivescovile


Riaperto a febbraio del 2010, dopo un lungo restauro durato otto anni, il Museo Arcivescovile si trova all’interno del Palazzo dell’Arcivescovado.

Il primo nucleo del museo, la Sala Lapidaria, nasce nel XVIII secolo, per volontà dell’arcivescovo Farsetti che volle conservare i reperti provenienti dalla demolizione dell’antica Basilica Ursiana. Nei due secoli successivi il Museo si è ampliato includendo altri reperti provenienti dall’antica cattedrale distrutta, da altri edifici di culto della diocesi e da scavi archeologici. Dopo i restauri, curati da Giuseppe Gerola, a partire dal 1911 venne inserito nel percorso museale anche l’Oratorio di Sant’Andrea (o Cappella di Sant’Andrea o Arcivescovile), costruito da Pietro II (494-519) come oratorio privato durante il regno di Teoderico e dichiarato Patrimonio Mondiale Unesco nel 1996. La piccola cappella di pianta cruciforme è l’unico monumento ortodosso costruito in epoca teodericiana, quando il culto più diffuso era quello ariano, il suo interno è riccamente decorato di mosaici, tra i quali va ricordato quello del Cristo guerriero.

Oggi il museo occupa le sale del primo e del secondo piano delle fabbriche connesse con l’episcopio (residenza del vescovo) originario del IV secolo. Dell’antica sede si conservano la Torre Salustra, probabile resto dell'omonima porta romana del I secolo e il cosiddetto vivarium ossia il luogo nel quale si custodivano gli animali destinati al consumo alimentare.

Nel primo piano del museo sono esposti cronologicamente reperti provenienti da collezioni paleocristiane e bizantine. Alle pareti sono esposte stampe e dipinti a rievocare le stanze dei primi collezionisti. Nel percorso sono state incluse due sale settecentesche ornate di stucchi. Al secondo piano sono esposte collezioni medioevali e d’età moderna. Sempre al secondo piano si trova l’Archivio arcivescovile, che custodisce 13.000 pergamene databili dal VII secolo, sei papiri, tra i quali il diploma pontificio di Pasquale I (819) e un codice miniato di Giulio Clovio.